L'opera
Con "La colpa di vivere", che già nel titolo suggerisce un forte impegno morale e un“intensa e lucida carica drammatica, Antonio Puddu, interrompendo un lungo silenzio che data dall“esordio avviato da quell“amaro affresco della Sardegna pastorale ch“è "Zio Mundeddu", finalmente ritorna all“attenzione di lettori e critici con un“opera di struggente coinvolgimento e, per certi aspetti, persino nuova e provocatoria. Nella vicenda del protagonista Ettore Luna, che si estende attraverso un ampio arco temporale dagli anni della fine della guerra ai giorni nostri, con virile malinconia, e con strumenti espressivi di misurata fermezza e sobrietà dove anche il ricorso a certa sintassi "sarda" (ma è più sintassi di sentimenti che di prevaricazione linguistica) è come riassorbito dallo spessore della narrazione, Puddu non ci consegna solo il ritratto d“un "vinto" ma, felicemente riuscendo a fondere storia privata e storia pubblica, ci rappresenta in filigrana il passaggio da una Sardegna arcaica e arretrata ma ricca di valori a una Sardegna che, come il resto del paese, è andata inseguendo i miti del cosiddetto "miracolo economico" e del benessere smarrendo parte di quei valori e vivendo dilacerata dai suoi stessi scompensi e dalla sua perdita d“identità. Da un avvio che ha come l“andamento d“un "adagio" e sembrerebbe mimare le cadenze d“una franche de vie, ma senza cedere mai ai trabocchetti del regionalismo, il romanzo a poco a poco si riscalda d“una sua forza interiore sfociando in un "crescendo" di straordinaria fluidità narrativa in cui sempre più si riversa e si precisa la tensione esistenziale del protagonista, sino ad assumere una connotazione più emblematica e universale, come una sorta di fatalità cosmica, o di condanna biologica ("la colpa di vivere", appunto). (Michele Prisco)
|